Una delle principali criticità della negoziazione di un contratto di sviluppo software con lavoratori autonomi in qualità di consulenti esterni è il tema della titolarità e quindi della consegna del codice sorgente alla società committente. L'accesso al codice sorgente si rivela essenziale in caso di necessità di aggiornare il software per rispondere a nuove esigenze degli utenti o a nuove esigenze normative oppure per correggere eventuali bug.
Generalmente i consulenti incaricati dello sviluppo software tendono a consegnare ai loro committenti solo il codice oggetto del software senza il codice sorgente.
Ricordiamo che il codice sorgente è il set di istruzioni impartito alla macchina ed espresso in linguaggio di programmazione, mentre il codice oggetto si riferisce allo stesso set di istruzioni espresso in linguaggio binario leggibile dalla macchina.
Tuttavia risalire dal codice oggetto al codice sorgente è un'operazione tecnicamente complessa (c.d. decompilazione) e limitata dalla legge solo a particolari ipotesi, come ad esempio quella di garantire lo sviluppo di software indipendenti ed interoperabili con quello decompilato (art 64 quater Legge sul diritto d'autore 633/41).
La ragione della ritrosia degli sviluppatori software a consegnare i codici sorgenti ai propri committenti deriva dal convincimento di essere i titolari del diritto d'autore sugli stessi a titolo originario ex art 12 della Legge sul diritto d'autore 633/41 quando è in essere un rapporto di lavoro autonomo.
Tuttavia in una recente sentenza del Tribunale di Bologna n. 96/2020, è stata analizzata la normativa applicabile e ricostruita tutta la giurisprudenza in materia di titolarità dei diritti d'autore sul codice sorgente commissionato ad un lavoratore autonomo, ribaltando il suddetto principio della titolarità dei diritti d'autore a titolo originario.
In particolare, il ragionamento dei giudici di Bologna parte dai seguenti articoli di legge, che costituiscono eccezioni alla regola generale della titolarità dei diritti d'autore a titolo originario in capo al creatore dell'opera:
L'articolo 64 del Codice della Proprietà Industriale, secondo cui:
“Se l’attività inventiva è prevista come oggetto del contratto di lavoro e a tale scopo retribuita, il relativo diritto di utilizzazione economica spetta al datore di lavoro, nel qual caso si ha una utilizzazione economica dell’invenzione da parte di soggetto diverso dal suo autore originario per volontà non del suo autore ma ex lege”.
L’art. 12 bis della Legge sul diritto d'autore, per il quale:
“Salvo patto contrario, il datore di lavoro è titolare del diritto esclusivo di utilizzazione economica del programma per elaboratore o della banca dati creati dal lavoratore dipendente nell’esecuzione delle sue mansioni o su istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro”.
L'art. 4 della legge 81/2017 (c.d. Jobs Act), per cui i diritti di utilizzazione economica relativi ad apporti originali e ad invenzioni realizzate nell’esecuzione del contratto spettano al lavoratore autonomo, salvo il caso che l’attività inventiva sia prevista come oggetto del contratto e a tale scopo remunerata. In tal caso la titolarità spetta al committente.
Sulla scorta dei citati articoli di legge, il Tribunale di Bologna ha enunciato il seguente principio di diritto: “in caso di attività creativa del lavoratore autonomo e non dipendente, i diritti di utilizzazione economica dell’opera spettano al committente, se oggetto del contratto è proprio tale attività creativa e salvo patto contrario”.
In conclusione, considerato quanto sopra ed al fine di evitare eventuali contenziosi dall'esito incerto e tempi lunghi, è certamente consigliabile definire in maniera chiara ed esaustiva la titolarità dei diritti IP nei contratti di sviluppo e realizzazione di software.
Avv. Lifang Dong e Avv. Chiara Civitelli
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