La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 59 depositata il 1° aprile 2021, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge n. 300 del 20 maggio 1970 (“Statuto dei Lavoratori”) nella parte in cui prevede che il giudice, accertata la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, “possa” e non “debba” applicare la tutela reintegratoria attenuata (ossia la reintegrazione nel posto di lavoro oltre ad un’indennità non superiore a 12 mensilità, detratto l’aliunde perceptum vale a dire quanto nel frattempo percepito dal dipendente licenziato in ragione di altri impieghi e l’aliunde percipiendum, quanto il dipendente licenziato avrebbe potuto percepire se avesse diligentemente cercato nuovi lavori).
La tutela reintegratoria attenuata è la medesima che trova applicazione, ai sensi dell’art. 18, quarto comma, dello Statuto dei Lavoratori nel caso di licenziamento disciplinare (giusta causa o giustificato motivo soggettivo) in cui risulti insussistente il fatto contestato (ovverosia nel caso in cui il fatto rientri tra le condotte punibili con sanzione conservativa secondo il contratto collettivo di riferimento).
Il ragionamento della Corte Costituzionale può essere sintetizzato come segue.
Secondo la Corte Costituzionale il carattere facoltativo della reintegrazione rivela una disarmonia interna nel sistema delle tutele e viola il principio di eguaglianza. Inoltre, così formulata, la norma prevede un potere discrezionale al Giudice non chiarendo i criteri applicativi idonei a circoscrivere la discrezionalità giudiziale.
La ragione di tale disarmonia risiede nel fatto che il legislatore, in questo modo, ha previsto rimedi ingiustificatamente diversificati (ovvero uno obbligatorio, l’altro puramente facoltativo) nell’analoga ipotesi di manifesta insussistenza del fatto in relazione alle due fattispecie di licenziamento, quello disciplinare e quello per giustificato motivo oggettivo.
La Corte Costituzionale è consapevole delle peculiarità delle fattispecie di licenziamento, che evocano, nel licenziamento disciplinare (nella specie di giusta causa o giustificato motivo soggettivo), la violazione degli obblighi contrattuali ad opera del lavoratore e, nel giustificato motivo oggettivo, scelte tecniche e organizzative dell’imprenditore, ma ciononostante ritiene che la differenza concettuale e intrinseca tra le due tipologie di licenziamento non giustifichi una diversificazione quanto alla obbligatorietà o facoltatività della reintegrazione, una volta che si reputi l’insussistenza del fatto meritevole del rimedio della reintegrazione e che, per il licenziamento economico, si richieda finanche il più pregnante presupposto dell’insussistenza manifesta.
Secondo la Corte Costituzionale, peraltro, vi è anche un profilo di irragionevolezza intrinseca del criterio distintivo adottato in quanto, così formulata, la norma prevede un potere discrezionale al Giudice ma non chiarisce i criteri applicativi idonei a circoscrivere la discrezionalità giudiziale.
Avv. Guido Brocchieri
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